Amo il cinema, il senso del racconto, diretto, che sa dare.
Lo amo da lontano, come ragazzo timido che pensa a quello sguardo e a quel sorriso da lontano, quale sono, in silenzio.
Vedo, più o meno, tre film all'anno.
Scelgo di scrivere di un film complesso, difficile.
Con tre film all'anno, la scelta, evidentemente, è forzata.
Con tre film all'anno, la scelta, evidentemente, è forzata.
Ma The Tree of Life merita questa attenzione.
La trama: la trama non c'è, è volutamente assente. C'è una storia.
Lo si intuisce, razionalmente. La si vive, totalmente, a livello emozionale.
The Three of Life è un fluire di emozioni che parlano alle emozioni, saltando il piano della comprensione logica, impedendo la razionalizzazione di quanto passa davanti, dentro, i nostri occhi.
Lo si intuisce, razionalmente. La si vive, totalmente, a livello emozionale.
The Three of Life è un fluire di emozioni che parlano alle emozioni, saltando il piano della comprensione logica, impedendo la razionalizzazione di quanto passa davanti, dentro, i nostri occhi.
Non è affatto facile accettare una esperienza di questo tipo. E' pesante, priva almeno per me di possibilità di controllo, costringe ad introiettare i sentimenti non raccontati dei personaggi che appaiono sullo schermo.
Non sempre sentimenti buoni, liberatori. Anzi.
Non sempre sentimenti buoni, liberatori. Anzi.
Per questi motivi, credo, sono uscito dal cinema con un senso di disimpegno, conforto, atteso quasi con ansia nell'ultima mezzora. E avendo capito, con un certo imbarazzo, poco o nulla, di quanto visto.
Mi sono dovuto informare, ex post.
Amalgamare le informazioni trovate con l'impasto di sensazioni che continuavano a lavorare, rimuginare.
Amalgamare le informazioni trovate con l'impasto di sensazioni che continuavano a lavorare, rimuginare.
Emerge viva l'impressione di un film che attraverso (spero di utilizzare un termine corretto) un metalinguaggio che incorpora in sé i linguaggi della fotografia (davvero stupenda) delle immagini (sequenze capaci di creare viaggi di pensiero), del suono, del cinema, della violenza e dell'amore, detto e non detto, getta un seme.
Riflessioni ancora più di pancia che di testa sulla reale dimensione della sfera dell'essere bambino, la sua densità viscerale, ripulita da ipocrisie. Sulle strada che prende ciascuno, dettata dal carattere, dalla predisposizione, dall'educazione, dal vissuto, dall'imitazione. Dalle paure.
Sul caso che sfonda queste strade come e quando vuole, piegando il destino e riportando ciascuno nella dimensione di appartenenza, quella di parte infinitesimale del mondo, indipendentemente da qualsiasi vita si scelga di fare.
Piegando il destino, ma senza spezzarlo, poiché tutto prosegue, va avanti, di necessità.
Nel bene e nel male.
Nel bene e nel male.
Un mattone devastante, come può essere un cinema che non è di svago, di fantasia che il nostro cervello sa elaborare e ricostruire, bensì di introiezione e di fatica.
Ma di una consistenza e bellezza splendidi, e capace di regalare durante le due ore e mezza di proiezione momenti di viaggio e di respiro memorabili. Notevole la colonna sonora.
Brad Pitt capace di una prova monumentale. Sean Penn a mio dire un po' inconsistente.
Da vedere al cinema, per godere della qualità delle immagini e per tenersi in serbo una liberatoria passeggiata e ripresa di contatto col mondo.
E per bersi un whisky, meglio se torbato.
Nessun commento:
Posta un commento